di Marino Freschi*
Nella motivazione del Premio Nobel per la letteratura allo scrittore austriaco Peter Handke si menziona la sua «linguistic ingenuity». Se d’ingenuità linguistica si possa parlare, ciò si giustifica solamente col fatto che Handke ha lavorato e lavora alla sua scrittura da quando frequentava il ginnasio cattolico vicino Griffen nella parte slovena appartenente all’Austria. Insomma “ingenuità linguistica” se così vogliamo intendere la maturità letteraria, teatrale, saggistica acquisita in quasi 70 anni di scrittura.
Quel paesino di lingua slovena, Griffen, lo segna definitivamente. Nasce da un amore di guerra il 6 dicembre 1942 tra un soldato tedesco e una giovane austriaca di lingua slovena, che però sposa Bruno Handke, che riconosce Peter. Tempi di guerra, tempi duri, specie verso la fine. La famiglia si trasferisce nel ‘45 a Pankow, nella zona sovietica di Berlino per tornare qualche anno dopo a Griffen; per il suo tedesco berlinese Peter si sente isolato dai suoi coetanei. Un ulteriore segnale di diversità che è il destino di tanti artisti e soprattutto scrittori.
Dopo il ginnasio in seminario, va a Graz, s’iscrive alla Facoltà di Giurisprudenza, consigliatagli da un professore perché così avrebbe avuto molto tempo per scrivere e infatti scrive, scrive. E il suo destino s’incrocia con il destino di Graz di quegli anni dove intorno allo scrittore dell’avanguardia Alfred Kollerisch si forma un gruppo di giovani autori talentuosi, quelli della “Grazer Gruppe”, che segna la letteratura tedesca tanto che Handke viene invitato nell’incontro del mitico “Gruppo 47” in trasferta americana a Princeton con i mostri sacri della letteratura tedesca e qui nasce Handke con un discorso duro in cui accusa di «impotenza descrittiva» l’establishment culturale della Germania Occidentale. Il suo intervento diventa l’epicedio del gruppo, quello – per intenderci – di Böll e Grass (ma chi di Nobel ferisce…).
In quel biennio 66-68 Handke si profila come la punta di diamante dell’avanguardia tedesca con il dramma neofuturistico Insulti al pubblico che vuole suonare la sveglia agli spettatori comodamente assuefatti alla routine del teatro nella società opulenta. È l’enfant terrible della drammaturgia dei teatri di lingua tedesca; si forma il sodalizio con Claus Peymann, il più vivace regista dell’epoca.
I testi di Handke e di Thomas Bernhard monopolizzano le scene tedesche, mentre tramonta definitivamente il teatro impegnato di Brecht, come conferma l’altro dramma avanguardistico di Handke Falso movimento del ’75. E l’avanguardismo handkiano prosegue con incursioni nella cinematografia in collaborazione con Wim Wenders, firmando quel capolavoro ‘cult’ che è stato Il cielo sopra Berlino, che ha lanciato la capitale tedesca in tempi non sospetti.
Gradualmente la scrittura comincia a precisarsi, a distaccarsi dagli ‘insulti’ mirati a scuotere le coscienze per individuare altri sentieri; la svolta nella scrittura si comincia a percepire in un testo labirintico e suggestivo del ’69 Il mondo interno dall’esterno dell’interno, mentre del ’70 è Prima del calcio di rigore, che diventa un film con Wenders; il testo è un primo breve ‘gioiello’, che conferma una ricerca nella scrittura, ormai alleggeritasi dal rovello avanguardistico.
Ma è la vita che lo conduce a nuove prospettive, raggiunte con sofferenza autentica: il 20 dicembre 1971 la madre, dopo una vita di umiliazioni, privazioni, depressioni, si suicida. Handke, sconvolto, scrive quel che è considerato il suo capolavoro: Infelicità senza desideri del ’72. Un testo breve, intenso, struggente, intramontabile, che si lega a un’altra prosa intensa Breve lettera del lungo addio, dove il sentimento nella sua autenticità comincia a essere composto e trattenuto da una scrittura sorvegliata che annuncia un percorso nuovo, neoclassico. La autobiografia guadagna sempre più spazio come dimostra un altro scritto esemplare Storia con bambina del’ ’81, dove si eleva a esperienza letteraria quel magma esistenziale formato dalla convivenza tenera, problematica, dolcissima con la figlia Amina.
Sempre nell’ ’81 pubblica uno strano poema drammatico Attraverso i villaggi, che appartiene alla grandiosa tradizione romantica del “Wanderer”, del viandante, che è uno dei topoi più insistiti e presenti nella letteratura, nella cultura, ma anche nella quotidianità tedesca. Handke pendola tra Parigi e Salisburgo, con lunghissimi viaggi intorno al mondo che racconta in vari libri, ché lo scrittore austriaco continua a essere di una produttività straordinaria per cui la sua ‘ingenuità linguistica’ confina con un manierismo narrativo elegante e coinvolgente. Villa a Salisburgo per qualche anno, varie donne e qualche matrimonio, poi una villa a Chauville nella periferia parigina dove tuttora vive. Tutto troppo tranquillo.
E allora è la Weltgeschichte, la storia mondiale a sparigliare le carte con l’inferno balcanico. Tutti contro Miloševic e i cattivissimi serbi. Eh, no: il cinque gennaio 1996 Handke scrive per la «Süddeutsche Zeitung», uno dei principali quotidiani tedeschi, un articolo a favore di Miloševic e dell’ormai ex Jugoslavia, criticando gli occidentali con i loro bombardamenti “intelligenti”, ovvero indiscriminati. La polemica è arroventata; gli viene revocato un famoso premio (con una dotazione di decine di migliaia di marchi), Handke è solo e resiste, visita le terre della ex Jugoslavia e ne racconta a una Germania che non ne vuole sapere e che con il ministro degli Esteri Genscher aveva per prima riconosciuto l’indipendenza della Croazia, contribuendo in maniera non indifferente a scatenare le nuove guerre balcaniche. L’eredità slovena materna gioca un ruolo sentimentale, culturale, linguistico.
E a proposito di ingenuità linguistica Handke oltre il tedesco, parla perfettamente lo sloveno, il francese, ha tradotto dal greco antico, dall’inglese… L’impegno pro-serbo aumenta al punto che fui lui a tenere il 18 marzo del 2006 l’orazione funebre per l’ex dittatore, sicché il Nobel è anche un gesto di conciliazione tra il mondo occidentale e Handke. Un premio doppio per la scrittrice polacca, Olga Tokarczuk, nata a pochi chilometri da Zielona Góra/Grünberg quasi al confine con la Germania, e a Peter Handke, nato a pochi chilometri dalla Slovenia: un compromesso e insieme una conciliazione tra la Slavia e la Germania. Niente male per l’Europa. (da: Il Giornale, 11 ottobre 2019)
*) Marino Freschi, germanista triestino, è professore emerito di letteratura tedesca (Università degli Studi di Roma Tre).
Ecco perché bisogna leggere Peter Handke…
L’assegnazione del Premio Nobel per la Letteratura 2019 allo scrittore austriaco Peter Handke ha suscitato reazioni molto dure. A parte le polemiche vorremmo mettere al centro dell´attenzione l´opera letteraria di Handke e farlo conoscere ai lettori italiani. Abbiamo chiesto alcuni docenti di letteratura tedesca di consigliarci un libro di Peter Handke. Scoprite le loro proposte…
Un viaggio d’inverno ovvero giustizia per la Serbia – consigliato da Vincenza Scuderi
In una recente intervista a un giornale italiano Handke ha dichiarato, sulle sue posizioni sulla Serbia: “Le mie non erano posizioni politiche, sono uno scrittore non un giornalista”. La nota editoriale all’edizione italiana di “Un viaggio d’inverno ai fiumi Danubio, Sava, Morava e Drina ovvero Giustizia per la Serbia” (1996, Eine winterliche Reise zu den Flüssen Donau, Save, Morawa und Drina oder Gerechtigkeit für Serbien), il primo dei testi “serbi” di Handke, si apre proprio con la frase: “In questo libro parla uno scrittore”.
Eppure il libro è nato contro il giornalismo di quegli anni, contro quelli che Handke sente come attacchi immotivati e di parte alla Serbia, è nato sullo stesso terreno della pubblicistica, e come questa si comporta, con lo stesso sbilanciamento che avrebbe caratterizzato il giornalismo occidentale, solo in direzione opposta. Questo scrittore è un uomo deluso, apprendiamo, dalla sua Slovenia (sua per eredità familiare, e poi riconquistata da adulto), che mitizza ora la Serbia, una Serbia preziosa perché chiusa in sé e arcaica, innocente perché provocata, e ne minimizza le responsabilità con sapienti mezzi retorici. Handke scrittore e uomo tratteggia “una Serbia immaginaria”, è stato scritto. Ma non è una prospettiva neutra. Non è un caso che parteciperà ai funerali di Milošević. Se in un’opera di alcuni anni prima (in italiano: Nei colori del giorno, 1980) Handke voleva arrivare a realizzare, con la scrittura, come Cezanne con i quadri, “costruzioni e armonie parallele alla natura”, qui realizza piuttosto costruzioni parallele alla storia.
Vincenza Scuderi è ricercatrice all’Università di Catania, specialista di letteratura austriaca.
Peter Handke, Un viaggio d’inverno ovvero giustizia per la Serbia, Einaudi (traduzione Claudio Groff)
Nei colori del giorno – consigliato da Micaela Latini
L’ignoranza la sento sempre come un disagio; e ne consegue quell’impulso a un sapere non orientato da cui non nascono idee, proprio perché non ha un «oggetto» con cui poter «coincidere». – Ma poi forse una piccola cosa offre una chiave per capire e pone così lo «spirito del principio» […]
Io vissi come “cose del principio” i quadri di Cézanne ad una mostra nella primavera del 1978 […] Erano i lavori del suo ultimo decennio, nei quali egli si era spinto tanto avanti nel tentativo di «realizzare» il soggetto raffigurato, che i colori e le forme possono ormai celebrarlo. (“Quando dico realtà e completezza intendo la medesima cosa”, scrisse il filosofo.) E tuttavia nei quadri non appare alcuna luce accessoria. Gli oggetti celebrati emanano il loro colore […]
Le pagine del romanzo Die Lehre der Sainte-Victoire (Nei colori del giorno, 1980) scandiscono le tappe di un viaggio che è in primo luogo un faticoso percorso di ricerca del proprio sé che non può che passare attraverso un’iniziale perdita della propria identità (di qui l’importanza del sentimento di estraneità nell’osservare l’immagine dipinta di sé stessi). In questo senso la raffigurazione ripresa in parole (èkphrasis), sempre presente, della montagna di Sainte-Victoire – monte provenzale reso celebre dai numerosi ritratti che ne face Paul Cézanne – rappresenta per certi versi il filo di Arianna di un simile percorso odeporico ed esplorativo, dal taglio fortemente autobiografico. Oltre a costituire un tassello significativo della produzione narrativa di Handke, il romanzo Die Lehre der Sainte-Victoire si caratterizza anche come il suo particolare contributo alla “cultura visuale”. Lo dimostrano le riflessioni sulla questione dei colori, sui temi della luce, come anche i dialoghi sottesi con altri autori, sul crinale tra letterature, filosofia ed arti figurative.
Micaela Latini è Professoressa associata di “Lingua e traduzione tedesca” e di “Estetica del giornalismo” presso l’Università degli studi dell’Insubria (Como/Varese).
Peter Handke, Nei colori del giorno, Garzanti 1982 (tradotto di Claudio Groff
Un anno parlato dalla notte – consigliato da Franz Haas
I sogni fanno sempre parte dell’arsenale poetico di Handke, sogni ad occhi aperti o ad occhi semichiusi e del dormiveglia come quelli del volume Ein Jahr aus der Nacht gesprochen del 2010 (Un anno parlato dalla notte, it. 2013), una raccolta di testi poetici brevissimi, intrisi di sogni e annotati dall’autore, per un intero anno, nel dormiveglia o subito dopo essersi svegliato. Questi brandelli di narrativa sono leggeri come ragnatele, sembrano aforismi, ma non lo sono. Non sempre hanno un senso, almeno non lo rivelano dopo una sola lettura. A volte assomigliano all’inizio di un racconto, oppure a misteriose schegge di un testo più lungo, del quale sfugge il senso. Spesso, in questi testi trasognati, Handke sembra parlare con se stesso, a volte con una sconcertante autocritica: «Tu sei proprio così come la prima impressione che dai.» Messi tutti insieme, questi ritagli sconclusionati fanno però trasparire l’autoritratto nitido di un sonnambulo, un sognatore che vuole mettere in salvo, sulla carta e alla luce del giorno, «la rabbia del dormiente». Questa rabbia del sognatore che si sveglia viene poi del tutto trasformata, nello stesso anno 2010, in un precario equilibrio funambolico, ma anche trasposta in una solida dimensione politica e privata: nel ‘teatro epico’ di Ancora tempesta, con la sua bella confusione tra intimo e pubblico, vita e sogno, parentele vere e partigiani immaginari.
Franz Haas, austriaco romano, insegna Letteratura tedesca all’Università di Milano e lavora come critico letterario soprattutto per la “Neue Zürcher Zeitung“.
Peter Handke: Un anno parlato dalla notte (trad. Elisabeth Zoja e Antonio Annunziata), Moretti & Vitali
Breve lettera del lungo addio – consigliato da Marino Freschi
Nel 1971 Peter Handke intraprende un lungo viaggio negli USA, durante il quale da un giornale viene a sapere che la madre si era suicidata. Il viaggio e il suicidio sono all’origine di due racconti intensi, commoventi, tra i migliori dello scrittore austriaco e tra i più intriganti e struggenti della letteratura di lingua tedesca contemporanea.
Dal viaggio nasce nel ‘72 il racconto Breve lettera del lungo addio. È un testo autobiografico che segna una svolta nella scrittura di Handke, che lascia le pratiche avanguardistiche per immergersi nel magma narrativo sospinto da una forte tensione interiore. Il racconto del viaggio attraverso gli States – a ridosso del ‘mitico’ film ‘cult’ Easy Rider del ’69 – raffigura una ricerca e una fuga: fuga da una routine opprimente e ricerca di sé.
Le due parti del romanzo: La breve lettera e Il lungo addio sono introdotte da due citazioni da uno dei primi “romanzi di formazione”: “Anton Reiser” (1785-1790) di Karl Philipp Moritz. Anche per Handke il viaggio si trasforma in una centrale esperienza psichica e spirituale sulla scia della grande tradizione, quella del “Wilhelm Meister” goethiano, proseguita da “Der Grüne Heinrich” di Keller, che traversa come un filo rosso il romanzo di Handke. Il racconto parte da una crisi matrimoniale e da una curiosità per il Nuovo Mondo e termina con una separazione e con un’imprevista nostalgia per “Good Old Europe”: il viaggio si tramuta in un percorso di riconoscimento e ritrovamento e così il giovane provinciale realizza la scoperta della propria identità austriaca e mitteleuropea.
Marino Freschi, germanista triestino, è professore emerito di letteratura tedesca (Università degli Studi di Roma Tre).
Peter Handke, Breve lettera del lungo addio (trad. di Bruna Bianchi), Feltrinelli
Il peso del mondo – consigliato da Giovanni Sampaolo
“Cominciai a esercitarmi nel reagire col linguaggio a tutto ciò che mi capitava, e notai che nel momento stesso dell’esperienza vissuta anche la lingua prendeva vita e diveniva comunicabile”. Così scrive Handke di questo suo singolare libro: non un diario, ma un confronto immediato tra il vissuto e la sua lucida stilizzazione nella formulazione linguistica. La forma diaristica serve a Handke per liberarsi dalle forme letterarie note, verso una straordinaria soggettività del pensiero. Un libro che è uno scrigno pieno di idee e schizzi di rara concretezza, precisione e nitore.
Inizialmente si tratta di taccuini in cui lo scrittore, come sua abitudine, annota spunti per le opere che sta scrivendo: un dramma muto, un racconto. Ma avviene una svolta epifanica, egli si volge a registrare e commentare la quotidianità, i propri pensieri, con lo stesso impegno stilistico. Il primo titolo provvisorio fu infatti “Materiali per nulla di preciso”: il fine non era più l’“opera”, ma l’apertura a ciò che accade. L’autore prese in considerazione anche un titolo più astratto, “Fantasie senza meta”.
“Il peso del mondo” è stato scritto da Handke selezionando e montando insieme passi da ben 14 taccuini, omettendo e riscrivendo. Mai l’esperienza sensibile, la vita mentale e la scrittura sono stati così vicini, al confine tra micro-racconto e aforisma. “L’angoscia deve finire! – Allora di’ che il mondo deve finire”. Oppure: “La realtà: con questa parola rendiamo onore a ciò che ci impedisce di vivere”.
Giovanni Sampaolo è professore di Lingua e traduzione tedesca all´Università Roma Tre.
Peter Handke, Il peso del mondo, Guanda ((traduzione Raoul Precht)
Infelicità senza desideri – consigliato da Simonetta Carusi
«“Indicibile”, si dice spesso nelle storie, oppure “indescrivibile”, e solitamente io ritengo che siano scuse meschine; ma questa storia ha veramente a che fare con l’inesprimibile, con attimi di terrore ineffabile. Tratta di momenti in cui la coscienza, per l’orrore, fa un salto; stati di terrore talmente brevi che la lingua arriva sempre troppo tardi; processi onirici così atroci che si vivono fisicamente come vermi nella coscienza» (Peter Handke, Infelicità senza desideri, Garzanti, Milano 1976; traduzione di Bruna Bianchi).
In Wunschloses Unglück (Infelicità senza desideri) Peter Handke si confronta con la vita e con il suicidio di sua madre. Il libro uscì in lingua originale nel 1972; a quel tempo Handke aveva trent’anni ed era noto come bellicoso autore d’avanguardia, impegnato soprattutto a demistificare il linguaggio, a dimostrare come l’uso distorto delle parole possa facilmente diventare strumento di manipolazione del pensiero. Nella pièce teatrale Publikumsbeschimpfung (Insulti al pubblico) era arrivato a ingiuriare gli spettatori per risvegliarne le coscienze. Kafka sosteneva che la letteratura deve essere un’ascia che infrange la coscienza raggelata; di tale insegnamento Handke aveva fatto tesoro fin da quando, adolescente, era stato espulso dal collegio cattolico dove studiava, per aver letto di nascosto alcuni autori ‘proibiti’, tra cui per l’appunto Kafka.
Più che mai, di fronte al suicidio di sua madre, Handke avverte il bisogno di un linguaggio onesto, rigoroso, che dia conto dell’indicibile, dell’irreparabile, dell’inedulcorabile. Egli volge l’ascia della scrittura contro la propria stessa coscienza: una coscienza che se non risvegliata corre il rischio di decomporsi nella percezione simbiotica della morte. La potenza del linguaggio di Handke in quest’opera è impareggiabile. “Infelicità senza desideri” è la definizione della dimensione esistenziale di sua madre, vittima di valori sbagliati, tramandati e inculcati attraverso l’educazione e il linguaggio quotidiano. Rimanda a una vita in cui la rinuncia è vissuta come un dovere sociale e l’abitudine sistematica al sacrificio porta alla resa di ogni guizzo di volontà, all’abbandono della facoltà di desiderare: a una condizione femminile ancora oggi nel mondo troppo spesso attuale.
Simonetta Carusi ha insegnato Letteratura Tedesca all’Università di Chieti-Pescara. Tra le sue pubblicazioni: Il mito americano nella letteratura austriaca. Dal mondo asburgico a Peter Handke (Napoli 2008).
Peter Handke, Infelicità senza desideri, Garzanti, Milano (traduzione di Bruna Bianchi)